La decisione dell’amministrazione Trump di introdurre una nuova ondata di dazi generalizzati su beni provenienti dall’Europa, dall’Asia e da altri partner commerciali sta scuotendo l’economia globale. Il provvedimento, presentato come una misura di difesa dell’industria americana e come risposta al presunto “dumping” da parte di alcuni Paesi, rischia in realtà di trasformarsi in un boomerang che colpirà soprattutto i consumatori e le fasce sociali più fragili, sia negli Stati Uniti che all’estero.
Il provvedimento nel dettaglio
I dazi riguardano settori chiave:
Automotive e tecnologia (con un aumento medio del 25% sul valore dei prodotti importati).
Agroalimentare (dazi fino al 35% su vino, formaggi, olio e prodotti agricoli europei).
Acciaio e materie prime (incrementi variabili tra il 20% e il 40%).
Trump ha giustificato la scelta parlando di “America First” e della necessità di riportare lavoro e produzione sul suolo statunitense. L’idea, in teoria, è quella di ridurre le importazioni e stimolare la produzione interna.
Gli effetti collaterali sul mercato globale
Gli esperti economici avvertono: i dazi non colpiranno solo le grandi multinazionali, ma soprattutto i consumatori. L’aumento dei costi di importazione si tradurrà in un incremento dei prezzi al dettaglio.
Una famiglia media americana rischia di spendere fino al 15% in più per beni di consumo quotidiano.
I Paesi esportatori, come l’Italia per il settore agroalimentare, vedranno calare la competitività e, di conseguenza, i redditi delle imprese che vivono di export.
Nei Paesi più poveri, dove i mercati sono già fragili, l’aumento dei prezzi di prodotti essenziali (cereali, olio, beni tecnologici) rischia di acuire povertà e disuguaglianze.
L’impatto sull’Europa
L’Unione Europea è tra i principali partner commerciali degli Stati Uniti. L’introduzione di dazi fino al 35% su beni agroalimentari e del 25% su auto e tecnologia colpisce direttamente settori strategici come:
Industria automobilistica tedesca e francese, già sotto pressione per la transizione elettrica.
Settore agroalimentare mediterraneo, cuore delle esportazioni italiane, spagnole e francesi.
Macchinari e tecnologia, dove l’Italia, la Germania e l’Olanda vantano quote importanti di mercato negli USA.
Secondo le prime stime della Commissione Europea, il danno complessivo potrebbe superare i 120 miliardi di euro l’anno in perdita di export.
Il caso italiano: agroalimentare in prima linea
Per l’Italia, i dazi rappresentano un problema particolarmente grave. Gli Stati Uniti sono il terzo mercato extraeuropeo per l’export tricolore, con oltre 7 miliardi di euro di prodotti agroalimentari venduti nel 2024.
I beni più colpiti dai dazi saranno:
Vino: +30% di tassa doganale, che renderà meno competitivo il prodotto italiano rispetto a quelli cileni o australiani.
Formaggi DOP e olio extravergine: +35%, un rincaro che rischia di tagliare fuori dai supermercati americani molte eccellenze italiane.
Moda e lusso: dazi al 25% su accessori e abbigliamento made in Italy, settori trainanti per l’economia nazionale.
Coldiretti ha già parlato di una “batosta storica per il made in Italy”, sottolineando che decine di migliaia di piccole aziende agricole rischiano perdite enormi.
Le conseguenze sociali ed economiche
Dal lato europeo e italiano, le ripercussioni non si fermano al solo commercio.
Occupazione a rischio: l’export agroalimentare e manifatturiero sostiene centinaia di migliaia di posti di lavoro in Italia. Una riduzione drastica delle vendite negli USA potrebbe tradursi in licenziamenti o riduzione della produzione.
Consumatori penalizzati: il rincaro delle materie prime importate dall’America (come mais e soia per gli allevamenti) finirà per far aumentare i prezzi al dettaglio anche in Italia.
Più disuguaglianze: le famiglie meno abbienti, già colpite dall’inflazione e dal caro energia, rischiano di vedere ulteriori aumenti nei beni di prima necessità.
Europa divisa sulla risposta
Bruxelles sta valutando contromisure, ma gli Stati membri appaiono divisi. Alcuni, come la Germania, spingono per una mediazione diplomatica, temendo una guerra commerciale su vasta scala. Altri, come la Francia, chiedono dazi di ritorsione mirati contro beni americani.
L’Italia, invece, appare in una posizione particolarmente difficile: troppo esposta nel settore agroalimentare per poter tollerare i nuovi dazi, ma anche troppo dipendente dall’alleanza politica e militare con Washington per alzare i toni.
Dal punto di vista europeo e italiano, la misura di Trump è percepita come ingiusta e dannosa:
mina il principio del libero scambio internazionale;
colpisce in modo sproporzionato settori che rappresentano identità e tradizione culturale (come il cibo italiano);
rischia di creare un effetto domino con conseguenze devastanti per le economie più fragili del Mediterraneo.
Italia in cerca di un equilibrio
Se negli Stati Uniti la retorica è quella del “proteggere i lavoratori americani”, in Europa si teme che questa logica finisca per rendere i ricchi più protetti e i poveri più vulnerabili: i consumatori europei pagheranno di più e le piccole imprese perderanno sbocchi commerciali vitali. L’Italia si trova di fronte a un bivio: difendere a ogni costo il proprio agroalimentare o allinearsi alla prudenza diplomatica tedesca. Quel che è certo è che i dazi di Trump, oltre a essere un’arma economica, diventano un test politico per l’Unione Europea, chiamata a dimostrare unità e capacità di difendere i propri cittadini e produttori.
Per ora, la sensazione è che la mossa americana rischi di isolare non solo gli Stati Uniti, ma di innescare una spirale negativa che colpirà soprattutto i più deboli, in Europa come oltreoceano.